Lina Da Soller Gaggi, La forestiera che scolpì la pietra antica
Sugli scaffali in legno, foderati di impalpabile polvere verde, dal 1955, nel laboratorio bottega di via Roma 2 a Chiesa, ci sono ancora i vecchi strumenti di lavoro di Lina Da Soller, del marito Pietro e dei figli Silvio e Alberto, ultimi protagonisti della storia secolare della lavorazione della pietra ollare, che un tempo impiegava in Valle un centinaio di addetti nei 50 torni e nelle 40 cave sotterranee.
Su Silvio Gaggi artista poliedrico, scultore, poeta, pittore, cantore d’umanità e della bellezza della Natura, cultore e difensore della saggezza contadina si sono spesi fiumi di inchiostro. Oggi il nostro riconoscimento doveroso viene tributato alla sua Mamma che seppe fondere l’aspetto reale alla foggia artistica della pietra e che intravide e incoraggiò la straordinaria vena artistica del figlio.
Lina Da Soller, di Giacomo e Natalina Possamai quarta di cinque fratelli, venne alla luce il 26 dicembre 1915 a Soller, frazione di Cison di Valmarino (Treviso), posta all’inizio della Valdobbiadene, fra i vigneti del prosecco.
Siamo agli inizi della guerra 1915/’18, nelle regioni Friuli-Veneto, terre comprese tra il Piave e l’Isonzo, dove era concentrato il conflitto con l’Austria e di cui la famiglia ne subirà le sorti.
Lina frequentò le scuole elementari a Tovena, a 2 km chilometri di distanza dalla sua abitazione, percorsi ogni giorno a piedi. Terminata la quinta classe, prese servizio presso una famiglia a Conegliano, dove vi rimase fino all’età di 14 anni. Le domeniche libere non erano per lei giornate di festa, doveva tornare al suo paese e dare una mano alla famiglia per i lavori in campagna.
Poi, si trasferì a Milano come domestica, presso i signori Teatini, famiglia originaria di Cracovia ed economicamente benestante, tanto da permetterle di trascorrere dei periodi, considerati di vacanza, sia al mare ad Alassio, che in montagna in Valsassina e in Val Sesia.
Nell’estate 1933, la famiglia Teatini scelse come luogo di villeggiatura proprio la Valmalenco, affittando un appartamento nella casa dei fratelli Carlo, Natale e Umberto Gaggi, di cui due di essi erano geometri, presso la contrada Sasso di Chiesa in Valmalenco.
Qui Lina conobbe Pietro Gaggi, si frequentarono e rimasero fidanzati per tre anni. Il 31 dicembre 1936, Lina e Pietro si sposarono a Soller. Pietro raggiunse per la prima volta il paese di lei, sconosciuto ai compaesani e nessun familiare l’accompagnò, in mancanza di soldi per sostenere le spese del viaggio. Le nozze vennero celebrate nella chiesa di Tovena, la parrocchia di Lina.
Il gruppo familiare in corteo, composto dagli sposi e da 17 familiari della sposa, raggiunsero Soller a piedi.
Il pranzo nuziale, risotto con brodo di pollo, torta casereccia e buon vino locale venne consumato presso la casa paterna, nel cucinone intorno al focolare.
La giornata nuziale e di fine anno si concluse in bellezza, nella più genuina semplicità. I commensali si divertirono in un’atmosfera calorosa: non mancarono balli, canti, barzellette, scherzi e burlate e a conclusione, gli sposini donarono i confetti agli invitati e aprirono l’unico pacco regalo ricevuto dai signori Teatini, contenente un servizio di piatti con posate, allora un preziosissimo dono.
Dopo una settimana di vacanza, trascorsa in compagnia con la famiglia a Soller, il viaggio di nozze terminò e la novella coppia rientrò in Valmalenco. Lina conoscendo già il luogo, si ambientò subito essendo comunque già abituata a rimanere fuori casa per lavoro e conobbe la famiglia Gaggi: il suocero Silvio, la cognata Ida e il cognato Guerino, con i quali doveva convivere. Si rese subito intraprendente iniziando a lavorare, sferruzzando con uncinetti e aghi da lana, arte che ben conosceva.
Non tardò a farsi conoscere dalle famiglie agiate che vivevano a Chiesa, fra queste: il Dr. Bolognini allora medico condotto, Amos Pregreffi commerciante di vini e nel dopoguerra gestore dell’Albergo Mitta, la famiglia di Bellesia Nino, agronomo, che abitava nella villa Longhini Irma, posta dove sorge ora l’Hotel Rezia. Quest’attività di confezione di golfini, copertine ricamate, corredini per infanti e lavorazione della lana d’angora, allora molto di moda, dava un cospicuo supporto al reddito familiare.
Nel frattempo, iniziò il Secondo Conflitto Mondiale e come in tutte le guerre si crearono disagi, paura e miseria e l’attività della famiglia Gaggi subì un crollo economico. La sua preoccupazione maggiore era per i figli ma non si perse d’animo, continuò sempre più spedita il lavoro di ricamo e di maglia, fortunatamente ancora richiesto.
Intanto, Lina adocchiava sempre più il lavoro della pietra ollare ed esaminava come fare per dar maggior impulso al marito e migliorare gli oggetti che Pietro sapeva ben tornire, grazie ad un suo congegno studiato appositamente per avere un prodotto più fine e delicato, di maggior bellezza.
Lina percepiva in questi oggetti di pietra la possibilità di sviluppo, abbellendoli con decorazioni floreali, ornamentali e figurative per renderli gradevoli agli acquirenti. Per realizzare tale progetto dovette ricorrere ad abili disegnatori ed incisori tra i quali Abramo Lotti di Sasso, Oliviero Ratti sfollato che rimase in valle per ben 20 anni eseguendo lavori di cesello, le sorelle Rosa e Lucia Franzoni insegnanti di Primolo e nel periodo estivo anche da Mario Dioli e da Anna Pirovano, sfollata a Somprato.
Attenta, interessata e stimolata apprese subito il mestiere dai disegnatori, dando anche lei un prezioso aiuto nella scalfitura, per mettere in evidenza il decoro lucido scuro sullo sfondo scolpito chiaro.
Ogni autunno, dal 1947 in poi, i blocchi di pietra venivano trasportati dalla cava al laboratorio a Sasso. Anche Lina, come un uomo, aiutava a trascinare sul terreno i pesanti blocchi e in cava dava una mano a trasportare all’esterno il materiale di scarto. Nutriva un gran senso del dovere per ogni attività lavorativa, senza risparmiarsi di niente, coinvolgendo tutta la famiglia.
Buona parte dell’anno la pietra veniva tornita sui torni ad acqua del Pirlo e il prodotto finito doveva essere portato presso i disegnatori a Primolo o Chiesa, secondo le disponibilità. Il trasporto di tale materiale, che avveniva due o tre volte la settimana, spettava a Lina.
Con lo zaino anche carico 30 kg scendeva e saliva, al ritorno aveva anche qualche chilo in più per gli alimenti della famiglia. Rientrava a casa la sera, a volte anche di notte e quante volte nel buio fitto, senza luna, in difficoltà accorreva in suo soccorso il cognato Guerino, che con la lampada acetilene veniva a portarle lo zaino, dandole un poco di sollievo.
Lina giungeva alla baita sudata fradicia dalla fatica e si asciugava davanti al focolare con una sfiammata ardente, intanto cenava con la scodella fra le ginocchia poi subito a letto.
Al mattino, alle 4, alla luce delle candele era già in piedi, pochi erano i giorni che tardava. Si metteva seduta su uno sgabellino accucciata davanti ad un banchetto di lavoro simile a quello del calzolaio, pieno di scalpelli piccoli e grandi, un vasetto di lucido (alcool e gommalacca) e gli oggetti da scolpire. Prima con lo scalpello stretto “da refila”, cioè quello per fare il contorno al disegno, poi con un altro scalpello più largo per scalfire il fondo, con lavoro di attenzione e di energia per non rovinare il disegno.
Non aveva orario di lavoro, non meno di 15 ore giornaliere, con la sveglia davanti per controllare il tempo impiegato da un oggetto all’altro. Prima della colazione aveva già lavorato 3/4 ore, poi era solita sbrigare le faccende di casa per poi riprendere il lavoro della pietra e così via senza mai fermarsi se non nei giorni festivi trascorsi sempre in famiglia.
Lina e Pietro ebbero quattro figli, nel 1937 nacque Alessandra, nel 1939 Silvio, nel 1945 Alberto e nel 1953 Rosalba.
Nel 1955 Lina con la famiglia si trasferì da Sasso, in via Roma n. 2 a Chiesa, dove allestì il punto vendita dei prodotti di pietra, dando così un maggior impulso al commercio e da allora Lina ogni mattina saliva al laboratorio sempre puntuale e di buon’ora.
Intanto, i figli Silvio e Alberto crescevano e la mamma non perdeva l’occasione di sollecitarli e stimolarli nel lavoro di famiglia che da secoli e generazioni si tramandava. Col marito riusciva a tener vivo questo nobile artigianato e vedeva nei figli una grande opportunità di continuazione. In particolare, spronò Silvio a disegnare e già all’età di 5 anni lo mandò a scuola presso una sfollata che abitava nella casa Donadelli in via Roma.
Lina ogni qualvolta andava a consegnare o ritirare la merce dai vari disegnatori portava con sé il figlio per aiutarlo ad acquisire nuove nozioni.
Lina riconobbe il talento del Maestro Erminio Dioli e lei ebbe il coraggio, nonostante le dicerie popolane “Chel Caspoc l’è ‘n mat te ghe nient da impara” (Erminio Dioli di Caspoggio era un matto, non avevi niente da imparare), di mandare Silvio a scuola e a bottega.
Lina era una persona dinamica, ospitale, in ogni occasione sapeva cucinare pietanze appetitose da far gola alla famiglia e al vicinato e non dimenticava di festeggiare ogni ricorrenza. Lasciò serenamente questa terra il 9 Luglio 2005.
“Oggi la bottega artigiana della famiglia Gaggi rappresenta per tutti noi un posto, dove è possibile acquistare un manufatto vero e genuino come quelli dei nostri nonni, un luogo di dialogo, di incontro tra le arti e soprattutto l’archivio storico culturale del Maestro Erminio Dioli ma, rappresenta anche il riscatto sociale di una donna che con la sua forza di volontà ha dato dignità a un lavoro. Un lavoro legato alle nostre origini, alla tradizione e al nostro passato che, per molti giovani, potrebbe rappresentare un mestiere da imparare e portare avanti.”